Casola 2013: appuntamento con Jean-Marie Chauvet, speleologo e scopritore della grotta. Ecco il punto sulla datazione dell’arte parietale.

Posted by on 10 Ottobre 2013

Immagine trovata pubblicata da www.atavolacongioia.it

Dal 30 ottobre al 3 novembre a Casola Valsenio (Ravenna) si terrà “CASOLA 2013 – Underground: il popolo europeo della speleologia torna a casa”, annuale incontro di speleologia internazionale. Nel programma (ricchissimo e che invitiamo a scoprire su www.speleopolis.org) svetta per noi amanti dell’archeologia dei luoghi non convenzionali, la presenza di Jean-Marie Chauvet. Speleologo e fotografo francese, nel 1994 Chauvet scoprì la grotta cui venne dato il suo nome e i cui dipinti paleolitici sono tra i più antichi noti al mondo.
Potrebbe essere interessante sentire cosa ne pensa il sig. Chauvet delle ultime datazioni attribuite ai dipinti della grotta. Ricordiamo che nell’ottobre del 2011 la ricercatrice francese Helene Valladas e il suo team di Gif-sur-Yvette presso il Laboratory for Climate and Environment Studies (CEA-CNRS francese) ha retrodatato dal 17.000 BP (Magdaleniano) al 30.000 BP (Aurignaziano) le pitture di Chauvet. Lo studio è stato pubblicato su Science e può essere letto (per gli iscritti alla rivista Science online) a questo link. Tra gli autori dell’articolo anche il famoso Jean Clottes.
La datazione é basata sull’applicazione del sistema AMS (ovvero l’uso dell’ acceleratore di spettrometria di massa) applicato a resti di carbone. Un sistema che sta portando diverse grotte europee a rivedere le proprie datazioni. Alcuni però argomentano che la datazione se effettuata su resti carbone del dipinto altera il dipinto stesso (lo rovina), se invece è raccolto in loco non è necessariamente detto che sia contemporaneo alle pitture.
E così da qualche anno, soprattutto in Spagna, sta prendendo piede la datazione all’Uranio-Torio che non intacca i dipinti, bensì data il supporto. La diatriba é però aperta tra gli studiosi e che tira in ballo i Neanderthal.  Vediamo il perché.
Il sistema Uranio-Torio (detto anche della “serie-U”)si basa sul fatto che la calcite (carbonato di calcio presente in stalattiti e stalagmiti) contiene tracce di uranio 238 che nel tempo decade per formare elementi atomici differenti, come il Torio 230 (radioattivo). Misurando il livello di torio 230 e uranio 238 è possibile capire quanto tempo fa la calcite si sia formata. Ovviamente perché il sistema sia utile alla datazione di pitture rupestri si opera su resti di calcite che ricoprono la pittura (per avere un età limite minima) e, quando possibile, prelevando campioni di calcite sotto il dipinto e avere così una data massima. Tra i due intervalli starebbe l’età del dipinto. Pare un sistema ottimo (anche se serve fare diversi buchi nella grotta, anche 50 per avere sufficiente numero di campioni) ed è così che alla grotta di El Castillo si é iniziato a parlare di dipinti di 40.800 anni fa!
O alla grotta di Tito Bustillo i cui dipinti sono stati datati con la serie-U a 37.300 anni fa e persino la famosa Altamira si direbbe avere dipinti di 35.600 anni fa, quando si è sempre parlato di 17.000 anni fa.
“Siamo di fronte ad arte Neanderthal?” hanno iniziato a chiedersi gli studiosi di preistoria. Joao Zilhao, archeologo alla università di Barcellona, ricorda che è possibile (per l’ennesima volta ricordiamo gli studi a Fumane dell’Università di Ferrara) in quanto i più antichi resti Homo (sapiens) in Europa sono quelli trovati in Romania presso il sito di Pestera cu Oase e sono di 39.000 anni fa e i più antichi artefatti attribuibili all’Homo in Spagna, Italia e Francia risalgono a 41.600 anni fa (Zilhao non considera le recenti datazioni ottenute su alcuni reperti tedeschi che portano a 43.000 anni fa). Tuttavia, questo non é sufficiente perché il mondo accademico concordi al Neanderthal capacità artistiche delle pitture di Chauvet e delle altre grotte. Infatti, alcuni esperti (citiamo il geochimico Henry Schwarcz della canadese McMaster University di Hamilton e l’esperto in datazioni Thomas Higham di Oxford) sono cauti sul metodo, sottolineando da un lato come non siamo certi di quanto tempo sia passato tra l’atto del dipingere e la formazione di calcite (non sempre è possibile avere le datazioni a sandwich della calcite cui facevamo riferimento prima) e dall’altro che perché queste datazioni ci parlino di arte creata dal Neanderthal dovrebbero essere un po’ più vecchie.
Ad ogni modo le datazioni della grotta Chauvet fin dalla sua scoperta nel 1994 sono state di riferimento per gli storici dell’arte parietale europea e le nuove datazioni proposte dal team francese non hanno mancato di far intervenire alcuni studiosi come Paul Pettit (University of Sheffield) che insieme al collega Alistair Pike della University of Bristol ha pubblicato su Science un articolo sulla bontà del metodo Uranio-Torio, non accettano che Chauvet possa essere di 37.000 anni fa. A nostro parere la motivazione non regge in quanto si basa su di un concetto evoluzionistico che già è fallito diverse volte nel suo approccio. Ovvero Pettit sostiene che i primi Homo in Europa non si prestavano a dipingere figure zoomorfe bensì prediligevano segni e linee (non figurativi). Per lui il carbone datato potrebbe essere stato usato per la prima volta per dipingere punti, dischi e segni e poi, migliaia di anni dopo, riusato per dipingere gli animali.
Dissentiamo da questa visione anche perché altri e numerosi studi (vedi Gilles Tosello, Università di Tolosa) hanno confermato la datazione Chauvet. E allora ecco le critiche al metodo Uranio-Torio: i ricercatori Pike e Pettit – secondo Helene Vallene, non hanno considerato come parte dell’uranio nella calcite potrebbe essere stato “slavato” da inondazioni della grotta (incrementando quindi il rapporto torio/uranio nella calcite stessa e sballando la datazione). Proprio il team francese ebbe problemi nella comparazione di dati radiocarbonio e Serie_U in una grotta sudafricana nel 2003.
Pettit e Pike si dicono pronti a testare con il loro metodo anche Chauvet. Ma noi sappiamo di una grotta dove entrambi i metodi (quello AMS dei francese e quello Uranio Torio di Pike) sono stati testati: Nerja, provincia di Malaga. Per saperne di più vi rimandiamo al nostro articolo che sarà pubblicato a dicembre 2013 sulla rivista Montagne360, in edicola da fine novembre. Siamo stati a Nerja proprio per questo! E ora, con chi vorrà, potremo chiedere il parere al sig Chauvet, a Casola Valsenio, in provincia di Ravenna, nell’ultimo week-end di ottobre! Per saperne di più sul programma di Casola 2013: www.speleopolis.org

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