Anno 1995: sulla cima del Vulcano Ampato (6.312 metri s.l.m), dirimpettaio del vulcano Misti, alle spalle della città peruviana di Arequipa, gli archeologi Johan Reinhard e José Antonio Chávez ritrovano il corpo mummificato di una ragazzina Inca, ora nota come “Juanita” in onore dell’archeologo americano.
La cosiddetta “ragazza del gelo” è forse la più famosa dei 18 corpi mummificati sacrificati in epoca Inca e ritrovati ad oggi sulle cime delle Ande (14 in Perù e 4 in Argentina – uno è custodito al museo M.Gambier di San Juan, che già abbiamo visitato lo scorso novembre).
Siamo stati ospiti del Prof. Chávez, protagonista del ritrovamento e delle indagini effettuate sul corpo di Juanita e ora Direttore del Museo Santury dell’ Universidad Católica de Santa María di Arequipa (Peru) , che ne custodisce e conserva i resti.
E’ possibile definire il luogo del ritrovamento di Juanita, come il più alto sito archeologico del mondo, oltre i seimila metri. Le ricerche dei due archeologi “alpinisti” sono iniziate nel 1995 e possono essere considerate come il culmine di un progetto di ricerca iniziato nel 1979 con il nome di “Santuari d’Altura del Sud Andino”.
Il progetto ha visto svolgere ricerche sulle cime e sui vulcani più alti delle Ande: Pichu Pichu, Huarancante, Calcha, Chachani, Misti. Il primo bimbo inumato Inca di cui si ha notizia risale al 1964, quando un fardo funerario è stato ritrovato sulla cima del Pichu Pichu. Le prime ricerche importanti risalgono al 1989, sul ghiacciaio Coropuna. Il 2 settembre 1995 è una data “chiave” per le ricerche archeologiche in montagna: approfittando dell’eruzione del vicino Vulcano Sabancaya, i due ricercatori organizzano una spedizione sul vulcano Ampato, i cui ghiacci si sciolgono a causa della caduta della cenere vulcanica e consentono di investigare il terreno sottostante. Viene così ritrovata Juanita, in ottimo stato di conservazione grazie ai ghiacci perenni in cui si trovava da oltre 500 anni. Un mese più tardi altri tre corpi vengono identificati a 5.800 metri s.l.m. e nel 1996 la spedizione al Vulcano Pichu Pichu rivela altre due mummie con le loro offerte rituali. E’ poi stata la volta del Vulcano Sara Sara, che ha restituito una ulteriore mummia.
Il Prof. Chávez è stato così gentile da concederci una visita privata e un’intervista in esclusiva “a porte chiuse”. Purtroppo il filmato non è molto chiaro a causa della luce minima alla quale è possibile esporre il corpo di “Juanita”, ma speriamo possiate ugualmente apprezzare l’interessante intervista, che ci svela i segreti del ritrovamento e della conservazione di questo eccezionale reperto.
Gl Incas furono i primi a “sfidare” le vette andine, da sempre considerate sacre, installandovi dei santuari per riporvi offerte agli “Apus” (spiriti delle montagne) e alle divinità del cielo, quali Inti (il Sole) e Illapa (il fulmine). Inizialmente si pensava che questi sacrifici umani utili per placare terremoti ed eruzioni avessero per protagonisti bambini e bambine (fino ai 12-14 anni di età), mentre ora – ci rivela il prof Chavez – questo modello teorico sta venendo meno, dopo che sul Vulcano Misti sono stati ritrovati i corpi di due adulti.
Le cronache spagnole riportano come il Vulcano Sara-Sara ospitasse un santuario così importante che necessitava di oltre 2.000 sacerdoti. Proprio seguendo le indicazioni delle cronache e le precedenti ricerche sulle “vie delle offerte agli Apu”, Chávez e Reinhard hanno individuato i santuari in vetta.
Un’investigazione non semplice, che implica tecniche di alpinismo e metodi di scavo adatti alla situazione, organizzazione logistica e capacità di rispondere alle emergenze dell’altura.
La conservazione di Juanita, come ci spiega il prof. Chávez nel video, segue criteri semplici: il corpo è conservato in un refrigeratore ad una temperatura di – 20°C che impedisce la crescita di batteri. Il ghiaccio che ricopre parte del corpo è originale e aiuta la conservazione e un leggero velo di acqua pura viene spruzzato due volte all’anno sul corpo di “Juanita” per impedirne la deumidificazione.