Al via nuove analisi del “Cacciatore di Sovramonte” (Paleolitico): intervista esclusiva al prof Marco Peresani (Uni Ferrara)

Posted by on 20 Febbraio 2014

Il cacciatore di Sovramonte (immagine tratta da www.estense.com)

Nel mese di gennaio alcune agenzie stampa hanno annunciato la presenza del cosiddetto “cacciatore di Sovramonte” all’Università di Ferrara, perché ne  venga studiato il Dna. Si tratta di un resto scheletrico umano risalente al Paleolitico e ritrovato negli anni ’80 durante dei lavori di manutenzione stradale in una cavità alla sinistra del torrente Rosna nella valle di Cismon. Per saperne di più ci siamo messi in contatto con il prof. Marco Peresani, della Sezione di Scienze Preistoriche e Antropologiche (Dipartimento di Studi Umanistici) dell’Università di Ferrara che sta studiando i reperti in questione.

Arkeomount (A): Prof. Peresani, grazie per aver accettato l’invito di Arkeomount. Prima di tutto, ci introdurrebbe al “cacciatore di Sovramonte”? Chi era e cosa sappiamo di lui ad oggi? Quale la sua probabile storia e quale il probabile motivo della sua morte?

Marco Peresani (MP): “Potremmo immaginare il “cacciatore di Sovramonte” come un pioniere che apre la strada alla colonizzazione delle Alpi Orientali italiane nel Tardoglaciale, quindi nel periodo che segue il ritiro dei grandi ghiacciai alpini iniziato attorno a 20mila anni fa. Le Prealpi Venete ospitarono i primi accampamenti di cacciatori-raccoglitori, ma fu necessario attendere circa 6mila anni affinchè si creassero le condizioni ecologiche per un ‘estensione della rete insediativa lungo le valli. Di questo individuo possediamo le informazioni più consuete, ricavate da studio di morfometria, e cioè che la sua età era all’incirca di 25 anni, la sua statura di oltre 1,70cm, che non sembrava affetto da gravi malattie, che il suo assetto era bene equilibrato. Per l’importanza del corredo e del tumulo di pietre, riteniamo si trattasse  di un personaggio di rango, acquisito presumibilmente grazie alla sua abilità venatoria. Questi corredi sono rari per il periodo ed il contesto culturale, se li confrontiamo con quelli, più poveri, delle sepolture rinvenute al Riparo del Romito in Calabria o alle Arene Candide in Liguria.”

A: Ora che è in custodia presso il Vostro Dipartimento, quali sono gli studi cui verrà sottoposto? Qual è l’obiettivo della prossima ricerca?
MP: Un check-up dei resti scheletrici umani del Paleolitico è sempre necessario, soprattutto quando gli ultimi studi, come nel caso del nostro cacciatore, sono stati effettuati diversi anni fa o addirittura non hanno preso in considerazione determinati aspetti. Ciò è dovuto al normale progresso scientifico, scandito dalle innovazioni nelle strategie di ricerca, nei metodi analitici e nell’elaborazione dei dati. Per il “cacciatore” abbiamo riservato un esame approfondito della dentatura, la campionatura del tartaro e l’estrazione del DNA. La dentatura rappresenta una fonte di informazioni notevole sulla postura, la crescita, l’alimentazione dell’individuo. La presenza di tartaro e di calcoli vari permette di  indagare sull’alimentazione, mentre il DNA offre grandi possibilità di indagine sulla biologia delle popolazioni paleolitiche.

A: Ci risulta che il “cacciatore di Sovramonte” sia stato ritrovato in un contesto funebre molto interessante, che includerebbe anche una stele. Ce lo conferma? Cosa ci dice questa sepoltura, se di sepoltura volontaria possiamo parlare?
MP: “Certamente il contesto funerario del defunto dei  Ripari di Villabruna figura tra i più interessanti dell’arco alpino, sia per i materiali associati in prossimità dell’individuo, sia per il tumulo di pietre collocato a protezione della fossa. Vari oggetti erano stati collocati raggruppati sul fianco sinistro, all’altezza del bacino: due schegge e un blocco di selce utilizzato come percussore, un ciotolo di siltite anch’esso utilizzato come percussore, un grumo di sostanza resinosa e una punta in osso frammentaria. Di quest’ultimo manufatto sono stati rinvenuti due frammenti ricomposti, la punta e il corpo principale, mentre un terzo, intermedio, venne da noi rinvenuto setacciando il terreno di riempimento della fossa. Ciò suggerisce la frammentazione e la dispersione volontaria di uno dei frammenti all’atto della deposizione dell’inumato, come a rappresentare una cerimonia. La “defunzionalizzazione” di una delle armi del cacciatore e la ricollocazione parziale dei frammenti nel contesto funerario, trova similitudini con quanto emerge dall’etnografia di certi antichi popoli della Siberia. Le pietre, dal canto loro, presentano tratti enigmatici effettuati con l’ocra rossa, ma anche figure umane tra cui la famosa “stele”, una stilizzazione della figura umana. Così è stata interpretata la figura tracciata sempre con ocra rossa sulla faccia piatta di una grande pietra arrotondata che era stata raccolta nel torrente antistante il riparo. La figura  è composta  da un asse principale dal quale si dipartono geometrie a zig-zag in disposizione speculare e nel rispetto di precisi rapporti geometrici. Riteniamo possa raffigurare il defunto con le sue moltiplicate abilità motorie.”

A: Ai nostri lettori piace dare qualche riferimento sulle tecniche, le tecnologie e le metodologie di studio. Quali quelle che prevedete per questa ricerca?
MP: Si tratta di tecniche che permettono di analizzare la morfologia esterna e soprattutto interna dei denti. Tramite la microtomografia si riescono a scansionarne le caratteristiche, misurandone lo spessore dello smalto, ad esempio, oppure a documentare le faccette di usura del piano occlusale. Non escludiamo analisi isotopiche puntuali di campioni di ossa, di tartaro e di vari residui. Queste, e in particolare la determinazione del carbonio, dell’azoto e di altri elementi come lo stronzio,  possono fornire informazioni sulla dieta alimentare seguita dal cacciatore nel corso degli ultimi anni. Ovviamente, l’analisi del DNA richiede microcampionature di polvere ossea e un processo di estrazione complesso.

A: Vi avvarrete di personale/tecnologie interne o lo studio è in collaborazione con altri Enti?
MP: Questo progetto si fregia della collaborazione di centri di ricerca nazionali ed internazionali per l’analisi morfologica e morfometrica, per le microscansioni tomografiche, per l’estrazione del DNA. Ricordiamo il Dipartimento di Antropologia Evolutiva dell’Istituto MaxPlanck a Lipsia, il Dipartimento di Beni Culturali di Ravenna, Deparment of Palaeoanthropology and Messel Research, Senckemberg Research Institute di   Francoforte, ma non si escludono ulteriori collaborazioni per lo studio degli arti inferiori con l’Università di Cambridge. Ci auguriamo che questa sinergia porti ad ottenere rapidamente risultati di interesse per pubblicazioni scientifiche internazionali di alto livello.

A: Infine, una domanda sulla conservazione del “cacciatore”. Qual è il metodo di conservazione attualmente adottato? Ve ne è uno in programma per il futuro? E, infine, é prevista una collocazione dei reperti accessibile al pubblico?
MP: Non ci sono state prescritte particolari condizioni di conservazione. Per il futuro, è prevista l’esposizione in un Museo, ma si tratta di una decisione di competenza della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto e degli Amministratori Locali. I Musei non mancano nel territorio, ma la creazione di un museo ad Hoc per il “cacciatore” conferirebbe il giusto valore al territorio.

Un sentito grazie al prof. Peresani per la disponibilità.