Retrodatati i dipinti preistorici spagnoli a 40mila anni fa. Arkeomount intervista il Prof. Alistair Pike.

Posted by on 15 Giugno 2012

Mano dipinta nella grotta spagnola di El Castillo

In queste ore anche in Italia sta avendo eco la notizia delle ultime scoperte inerenti le pitture dipinte spagnole, a seguito delle ricerche internazionali guidate dal Prof. Alistair Pike dell’Università di Bristol (leggi l’articolo di Science).
Grazie all’uso del metodo di datazione dell’uranio-torio in 11 grotte con dipinti rupestri dell’area cantabrica (fra cui Altamira, El Castillo e Tito Bustillo) i ricercatori hanno datato le pitture a 40.000 anni fa, retrodatando in parte molte di queste. Oltre alle implicazioni sulla datazione – che ci impone di domandarci se e quale possa essere stato il ruolo del Neanderthal in alcune di queste rappresentazioni (a tale proposito vedi il nostro post del 17 febbraio 2012), abbiamo voluto approfondire il metodo di datazione responsabile della scoperta. Per farlo abbiamo raggiunto il direttamente il Dr Alistair WG Pike, Reader in Archaeological Sciences presso il Dipartimento di Archeologia e Antropologia dell’Università di Bristol (UK), a capo del progetto di ricerca che ha prodotto queste scoperte, che é stato così gentile di rispondere alle domande di Arkeomount. A seguire la breve intervista.

Arkeomount (ARK): “Prof. Pike, come funziona la datazione dall’uranio-torio?”
Dr Alistair WG Pike (AP): “Stiamo datando piccoli depositi di calcite – simili a stalagmiti – che si sono formati sulla superficie dei dipinti. Mentre si formano, queste stalagmiti incorporano tracce di uranio, che decade radioattivamente per divenire torio. La misurazione del rapporto tra il torio e l’uranio ancora presente ci consente di sapere quando questi depositi di calcite si sono formati”

(ARK): “Possiamo dire che questo metodo è meno invasivo della misurazione del radiocarbonio?”
(AP) : “Si”

(ARK): “Perché?”
(AP): “Perché la datazione al radiocarbonio richiede la rimozione di pigmento dal dipinto e provoca pertanto un danno. Il nostro metodo rimuove esemplari da un punto al di sopra del dipinto (che rimane intatto – ndr), senza causare alcun danno. In ogni caso gli esemplari che raccogliamo sono così piccoli che sono quasi invisibili.

(ARK): “Qual è il processo che avete usato per applicare il metodo ai dipinti su roccia?”
(AP): “ Abbiamo rimosso piccoli esemplari di calcite (piccoli come 10mg, circa la dimensione di un chicco di riso) raschiando con una lama. Ogni esemplare è stato portato al nostro laboratorio, dove l’uranio e il torio sono stati estratti ed è stato così possibile calcolare il loro rapporto usando uno spettrometro di massa”

Una tecnica non invasiva dunque, che sfrutta la presenza nelle grotte spagnole del torio, metallo debolmente radioattivo che si trova in piccole quantità nella maggior parte delle rocce e dei suoli, dove è circa dieci volte più abbondante dell’uranio.
La datazione uranio-torio, detta anche “thorium-230”, è una tecnica di datazione radiometrica che non misura l’accumulazione di un prodotto di decadimento stabile. Questa tecnica calcola un’età a partire dalla quale all’interno di un campione si è modificato l’equilibrio secolare tra il thorium-230 (isotopo radioattivo) ed il suo radioattivo genitore (uranio-234).
Mentre il Torio non è solubile in acque naturali (quando queste si trovano in superficie o vicine ad essa), l’uranio lo è. Ciò significa che ogni materiale che cresce a seguito della deposizione di acque naturali contiene uranio. Col passare del tempo l’isotopo dell’uranio 234 decade in torio-230. Quest’ultimo non si accumula in maniera indefinita perché è radioattivo per i primi 75mila anni. Pertanto si conosce qual è il punto di equilibrio tra i due isotopi e si sa che la quantità in percentuale di torio-230 che decade annualmente è stabile. Da questi rapporti e sulla base del rapporto secolare tra i due componenti, è possibile in una roccia nata in un terreno sorto da o impregnato di acque naturali (anche per infiltrazione), calcolare a ritroso gli anni. Le formazioni di calcite sorte sopra i dipinti rupestri non possono che essere nate dopo l’esecuzione dei dipinti stessi. Proprio queste piccole stalagmiti sono alla base delle ricerche del Prof. Pike e dello staff internazionale che ha guidato alla scoperta.
Resteremo in contatto con il Prof Pike e speriamo di avere altre news direttamente dal campo